Facebook, l’engagement silenzioso e quello che gli insights non dicono

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Durante una recente analisi “trimestrale” (in gergo un “trimestrale” tout court) per una pagina Facebook, mi erano saltati all’occhio alcuni dettagli interessanti tanto che, finito il tutto, mi ero ripromesso di riprendere in mano i dati per esplorare meglio alcuni aspetti di quel mondo oscuro che chiamiamo “fan silenziosi”.

Il problema: una serie di post non sponsorizzati e non facenti parte di nessuna campagna di advertising (ma frutto comunque di un piano strategico del contenuto) risultavano accomunati da basse visualizzazioni, bassa copertura e un ancora più basso coinvolgimento.

In genere sono cose che saltano subito all’occhio (lavorando con API e dati grezzi, chiaro, non certo grazie agli insights di Facebook che, per quanto tentino di visualizzare il coinvolgimento medio per tipi di post, per come aggregano e visualizzano i dati è abbastanza ovvio che non servono a un granché), però la soluzione più economica è spesso quella di dire: “ok, non perdiamo tempo, via questi tipi di post dal calendario e non ci pensiamo più”.

Però.

Di solito imposto il lavoro in questo modo: esporto excel e csv per il periodo interessato, lo lavoro con OpenRefine e preparo diversi csv a seconda delle metriche che devo analizzare. Genero velocemente una serie di grafici con PyGal che, oltre ad essere una libreria open source molto versatile per Python, ha il pregio dell’esportazione in formato vettoriale (per non parlare della possibilità di embeddare anche metadati nell’immagine) e quindi, dovesse servire, è molto più semplice creare una pagina web per ragionarci comodamente a più mani.

Insomma questa volta ho isolato meglio la serie di post “sfortunati” e cercato di esplorare meglio il rapporto tra engagement diretto (like, condivisioni, commenti) e indiretto (click sui link, altri click, visualizzazioni delle foto). Il classico Lifetime talking about this vs Lifetime post consumers by type (dove si trovano appunto i dati relativi a link clicks, other clicks e photo view).

Ora, nessun folle utilizzerebbe una semplice somma di like, condivisioni e commenti per calcolare il totale dell’engagement diretto. Ricordo che in questo caso stiamo parlando di post non sponsorizzati. Comunque, per come Edgerank considera like, condivisioni e commenti ai fini della portata organica, è sempre bene considerare il valore dopo l’applicazione di coefficienti ad hoc per ogni tipologia di azione. C’è chi assegna un punteggio, chi un coefficiente (calcolato magari a partire dagli interactivity points con i quali l’algoritmo valuta determinate azioni e scalato nel contesto della pagina specifica) o c’è dell’altro, dipende sempre da quali parametri si impostano per gli obiettivi e da quanta analisi dei dati si è fatta nel tempo. Nel mio caso erano già predefiniti (il che permette appunto di dire, sotto una certa soglia di risultato: “ok, non perdiamo tempo, via questi tipi di post dal calendario e non ci pensiamo più”).

Ma visto che alla fine avevo bisogno di strade alternative per rileggere il tutto, tutta questa cosa dei coefficienti poneva un problema: l’impossibilità di un raffronto alla pari con gli “altri click sui post”. Il fatto è che tutto quello che non è like, condivisione o commento rappresenta per Facebook un tipo di interazione minore che non merita l’assegnazione di punti, ma che comunque può influenzare il range del post ed essere considerata ai fini del calcolo dell’“affinità” (tra l’altro un parametro fondamentale nel mondo Edgerank). Quindi o si cerca di parametrare il mondo degli “altri click” partendo da dati storici con dispendio di tempo, energie e senza un vero e proprio test su strada, oppure bisogna provare a fare un po’ il folle della situazione, cioè calcolare l’engagement diretto senza coefficienti per un confronto strettamente “quantitativo” con quello indiretto.

Quello che ho fatto, alla fine.

Presa la serie incriminata del trimestrale (solo link e foto, nessuno status o video) e fatte le somme, ho ottenuto per prima cosa questo con i link post:

link_post_engagement

e questo con le foto:

bar_chart_photo

 

Fino a qui interessante ma abbastanza prevedibile.

Poi però, cercando un pattern tra i dati, ho diviso ulteriormente la serie di post in 3 gruppi:

  • coinvolgimento diretto minimo (gruppo 1)
  • coinvolgimento diretto medio (gruppo 2)
  • coinvolgimento diretto alto (gruppo 3)

(ricordo comunque che parliamo sempre di una serie di post e foto a basso impatto, estrapolata da un trimestrale)

Questo è il risultato per i link:

link_group_engagement

E questo per le foto:

group_photo_engagement

Interessante? Forse un po’ di più. Già sapere che i link più piaciuti sono anche quelli meno cliccati (e viceversa) è di per sé un dato che merita quantomeno un po’ d’attenzione.

Quando poi ho incrociato i dati con Google analytics, un rapporto personalizzato per il traffico social verso il sito (qui filtrato su Facebook, compresi lm.facebook e l.facebook per il solito motivo dei link shim che crea sempre qualche problema ai social media manager) mi ha fatto constatare che i link post (ovviamente non le foto) del gruppo 1 e del gruppo 2 hanno generato una quantità di traffico da non sottovalutare. Non certo i picchi, ma nemmeno i punti più bassi.

ga_social_traffic

Ora, è pur vero che è sempre corretto e sacrosanto analizzare quello che non funziona per un brand e correggere la rotta, ma mi chiedo se è davvero sempre il caso di etichettare come “negativo” tutto quello che non funziona solo secondo le regole di una piattaforma ma che altrove e magari secondo altre regole e valutazioni ha invece la sua ragione d’essere.
La moneta di Facebook è il coinvolgimento diretto, l’azione (ok, lasciando da parte per un attimo post promoting, advertising e tutto il resto), ma è anche vero che il consumo di informazioni forse non è meno significativo perché silenzioso (e poi non è detto che non converta, anzi).

E’ in fondo la solita grande questione dei “silenziosi”, quella che interessa molto anche ai community manager. Come ingaggiare queste persone? Come convincerle a partecipare?
Il fatto è che magari le abbiamo già ingaggiate e, a modo loro, stanno già partecipando, solo che spesso non ce ne accorgiamo perché forse certi parametri mainstream non sono poi così adatti a loro (penso ad esempio al no profit, alla comunicazione culturale e a tutto quello per cui è doppiamente difficile calcolare roi, roe e settare i kpi adatti).

Facebook, l’engagement silenzioso e quello che gli insights non dicono

5 pensieri su “Facebook, l’engagement silenzioso e quello che gli insights non dicono

  1. Ecco, prima di apporre il mio ‘like’ e scrivere il presente commento mi sono chiesto se non era il caso di rimanere assolutamente silenzioso (per quanto possibile) e limitare il mio coinvolgimento alla lettura integrale del tuo articolo, comprensiva di svariate pause di approfondimento per cercare di tradurre termini e gergo non immediatamente comprensibile. Una mezz’ora abbondante, credo. Facciamo quaranta minuti. Che è un’enormità, online, almeno per me.
    Ma, tornando a bomba, se “tutto questo” non fosse avvenuto? Ove il “tutto” è ciò che viene misurato, of course…
    Un caro saluto.

    F.

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    1. Il “se tutto questo non fosse avvenuto”, cioè senza misurazioni, è un po’ un tabù se ci sono di mezzo investimenti (grandi o piccoli che siano). Però se mi vuoi portare sul piano speculativo ti avviso che non posso cavarmela 😉
      Le interazioni comunque esistono, avvengono, si tratta solo di ricavarne una lezione e agire coerentemente. Alla fine stiamo parlando di Facebook, un Giano con una faccia per la rete sociale delle persone e una ben diversa per le aziende, i marchi, etc… Se vuoi incrociare i due mondi non puoi fare a meno di accorgerti dei pattern tra i dati. Dico solo che magari certi cluster spesso sfuggono e forse vanno trattati diversamente (comunque c’è chi lo fa, ovviamente).

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