I see a bigger social issue at work with digital literacy.
I believe that learning to live mindfully in cyber culture is as important to us as a civilization, as it is vitals to you an me as individuals.
Howard Rheingold, Net Smart: how to thrive online, The MIT Press, 2012.
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere alcune interessanti dichiarazioni del Censis a proposito dell’undicesimo Rapporto Censis-Ucsi sulla Comunicazione, presentato recentemente a Roma. Il Censis non è andato tanto per il sottile e ha parlato di “una vera e propria evoluzione della specie” a proposito degli italiani e del loro rapporto con la tecnologia, con il web e con i social media (63,5% della popolazione connessa, con i giovani al 90,4%).
Nell’entusiasmo generale non sono mancate dichiarazioni del tipo:
assistiamo a un ulteriore salto di qualità nel rapporto degli italiani con i media
stiamo finalmente entrando anche noi nell’era biomediatica, un’era in cui diventano centrali la trascrizione virtuale e la condivisione telematica delle biografie personali attraverso i social network
Mi auguro che per i bibliotecari e in generale gli entusiasti dell’ultima ora non sia certo questa la molla per il salto nel social web, nella cultura dei media digitali e nei nuovi framework delle conversazioni online.
Le perplessità non sono poche: il “salto di qualità” di cui si parla è davvero tale o semplicemente si tratta di un aumento quantitativo delle connessioni? E, nel caso, l’aumento delle ore di connessione e degli accessi alle piattaforme sociali in rete, per quanto con buone percentuali di ricerche di informazioni su aziende, prodotti e servizi, si può definire davvero un “salto di qualità”?
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